Il luogo è stato strappato al degrado e all’abbandono seguito al boom industriale degli anni ’70-‘80. Fino allora aveva un uso agricolo; un’agricoltura che oggi la definiremmo “agricoltura eroica”. È sembrato indegno, “tradire” un territorio che ha saputo sostenere per secoli i suoi abitanti e non solo sul piano utilitaristico ma anche su quello culturale. La prima menzione documentata di un luogo chiamato Val de Ròn si trova in un documento datato 1547, ora conservato all’Archivio di Stato di Venezia. Il toponimo deriva da “Valle in Rònco”, con il significato di “terreno disboscato”. La toponomastica delle zone ha una valenza non banale. Ogni lembo di terreno ha un proprio nome e non un nome casuale. L’avvicendarsi, durante i secoli, di boschi e di prati ha accompagnatoil destino del luogo in un’alternanza, governata dall’andamento delle contingenze economiche. Nei momenti di benessere i terreni marginali erano abbandonati al disuso che li trasformava in boschi, per poi essere nuovamente ripuliti e coltivati non appena cambiava il vento del benessere. Non si sa quante volte questo avvicendamento si sia ripetuto ne quando sia cominciato. Si sa però che ogni volta che una generazione attuava un cambiamento lo ha fatto con spirito e mezzi rinnovati, con nuove idee e conoscenze, a seconda del progresso del tempo. Anche oggi non si sfugge a questa regola. Finiti gli anni grassi di fine secolo è giocoforza invertire la rotta e tornare all’utilizzo di tutte le risorse disponibili. Ancora una volta ci si accinge al cambiamento con l’illusione di dare una soluzione definitiva. Da sempre l’uomo trae nutrimento dalla natura che lo circonda. È proprio soffermandosi ad osservare la maestosità degli alberi del bosco che si è pensato a come tanta bellezza sia possibile soprattutto grazie a ciò che non si vede: alle radici, che si danno sempre per scontate e di cui ci si cura poco; e di questa bellezza il parco è impregnato. Non sono solo gli alberi ad avere radici; l’intera esistenza è sostenuta da radici. Ci sostengono le radici della storia, dell’esperienza, della memoria. Purtroppo tutto ciò che sta alle spalle, essendo “passato” appare oggi ininfluente rispetto al presente e soprattutto al futuro; invecchiando si scopre ogni giorno, banalmente, che non è così. La più solida risorsa di cui si dispone è il passato che sta alle spalle; un tempogravido di esperienze, di fallimenti e di successi, nostri e di chi ci ha preceduto. Si, il passato è il materiale sui cui costruire il domani. Innumerevoli vite, vissute negli stessi luoghi che ci ospitano e che lasceremo in eredità ai nostri figli, non sono trascorse inutilmente. Vite intrise di emozioni, dolori e gioie, del tutto simili a quelle che viviamo noi, gravide di conoscenze e tradizioni che non attendono altro che essere scoperte. Tutti, anche i più poveri di spirito hanno contribuito al nostro presente. È quantomeno ingeneroso dimenticare la Cultura che ci hanno trasmesso, per non dire della stupidità di volerci ostinare a reinventare costantemente cose già inventare, a cercare soluzioni già trovate. Tutte queste considerazioni, e molte altre, ci hanno spinto a intraprendere quest’esperienza di “archeologia della memoria”, sulle tracce dei disboscatori del ‘500, per solleticare lo spirito di condivisione di chi, a volte inconsapevolmente, è depositario, e praticamente tutti lo siamo, di una storia di vita, di un frammento di memoria. Scavare dentro ognuno di noi per trovare saperi da condividere con l’obiettivo di regalare, soprattutto ai giovani, materiale collaudato per edificare ognuno un proprio futuro. È un obiettivo ambizioso e certamente fuori della nostra portata ma che tentiamo ugualmente, spinti da quella caratteristica che da sempre ci è stata riconosciuta e che solo recentemente un caro amico ha saputo rubricare alla voce “Incoscienza”. Non è necessario capire tutto, sapere tutto, per intraprendere una strada, basta un po’ di coraggio. Quelle che oggi sono strade comode ed asfaltate erano un tempo sentieri angusti, successivamente allargati per divenire mulattiere, infine strade. Sono percorsi tracciati da qualcuno che, pur nella consapevolezza di poter sbagliare, ha deciso di sperimentare l’ignoto. Infatti alcuni sentieri sono ora dimenticati, persi nell’oblio del tempo, altri invece sono divenuti importanti strade di collegamento fra mondi differenti. Abbiamo intrapreso questo progetto con questo spirito: tracciare un segno; all’inizio un segno incerto e perfettibile, che qualcuno vorrà e saprà correggere, nella speranza che la reiterata percorrenza lo trasformi in una strada maestra. Il nostro augurio è che qualcuno possa avere il coraggio di camminare su questa traccia con la pazienza di accogliere tutti coloro che ne condividono la direzione.